"Tornata dall'inferno": un sequel per Tito Faraci

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  1. salconte
     
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    Brad Barron
    Tornata dall’inferno (prima parte)
    (un sequel per Tito Faraci, proposto da Salvatore Conte - QueenDido.org)


    Dalla finestra, Adrian stava sorvegliando la strada.
    «Stanno tornando, Signora», disse il braccio destro di Lorna Baker.
    L’ex compagna di Mickey Sorvino, il grande boss di Chicago, dopo essere miracolosamente scampata alla distruzione della metropoli da parte dei Morb, i micidiali invasori alieni, si era molto ben riciclata nei bassifondi di New York, ed io non avevo perso tempo nel correre alla sua corte, anche se il ruolo di braccio sinistro mi stava decisamente stretto di manica.
    Ma prima o poi quell’Adrian avrebbe commesso un errore, ed allora io…
    «Molto bene, Adrian. Andiamo ad accoglierli…», la Baker era sempre molto sicura di sé, ma anche lei doveva stare molto attenta: il nuovo mondo lasciato dai Morb era pieno zeppo di insidie e qualcosa mi diceva che Lorna Baker stava per cacciarsi in un grosso guaio.
    Quindi avrei dovuto tenere gli occhi bene aperti.
    Ci trasferimmo nel laboratorio, ove il dottor Werner fece cenno ai ragazzi di ritorno dalla missione di adagiare sul tavolo il pesante oggetto alieno che stavano faticosamente trasportando: «Avanti, mettetelo là sopra!
    Con delicatezza, mi raccomando…», aggiunse il dottore.
    «Noi siamo sempre delicati, Doc!», si affrettò a precisare uno dei ragazzi, un certo Blayne.
    Una volta rilasciato l’oggetto sul tavolo, lo stesso Blayne si lamentò: «Potevi anche darci una mano, Parker!».
    «Bah! In tre sarebbe stato più scomodo!», fu la risposta di quest’ultimo.
    Dopo aver indossato una mascherina, il dottor Werner avvertì i presenti: «State indietro, adesso».
    Con mani esperte fece scattare un meccanismo automatico e l’oggetto alieno si dischiuse da sé, rivelando il proprio contenuto, sotto gli occhi soddisfatti di Lorna Baker.
    Quello schizzinoso di Adrian non seppe trattenere un’esclamazione: «Per l’inferno!».
    L’interno dell’oggetto aveva rivelato una piccola coltura di strane piantine.
    «Allora, dottor Werner, siete soddisfatto?», la Baker voleva raccogliere una prima impressione dallo scienziato della sua banda.
    «Totalmente, Lorna. E’ ancora meglio di quanto avessi previsto.
    E sarete soddisfatta anche voi, quando avrò finito. Molto soddisfatta», Werner era ottimista.
    «Non ne dubito», Lorna fiutava l’espandersi del suo impero.
    Ma poi si accorse che quell’idiota di Blayne stava per toccare le piantine e gli afferrò il braccio prima che potesse farlo: «Razza di idiota!».
    «Ma…», fu la debole risposta di Blayne, che - unitamente alla sua sciocca azione - gli valse un sacrosanto schiaffone in faccia da parte di Lorna Baker.
    «Questa è roba per musi neri, beatnik e feccia assortita… NON PER VOI!
    Dovete restare puliti! E’ CHIARO?», fu il severo monito della Baker, che – come me – detestava i comunisti.
    «Sì, Signora. Chiaro come il sole», rispose sconsolato Blayne.
    «Fuori di qua, adesso. Lasciamo il dottor Werner al suo lavoro», e dopo l’ordine di Lorna, uscimmo tutti dal laboratorio.
    Passarono soltanto un paio d’ore e la Baker decise di far visita a Gerrard, un ragazzo che s’era preso troppa libertà e che ora marciva nella nostra prigione privata.
    C’erano anche Adrian, armato di manganello, e Werner. Il prigioniero aveva il collo legato ad una catena a muro.
    «Buongiorno, Gerrard», lo salutò fredda la Baker.
    «Maledetta… MALEDETTA SGUALDRINA!», le ringhiò contro lo stesso Gerrard, cercando vanamente di afferrarla.
    «Senti, senti… Ancora non hai imparato che non ti conviene mancarmi di rispetto...?», ed eseguendo l’implicito ordine di Lorna, Adrian assestò alcuni colpi di manganello sul povero Gerrard; a volte l’essere il suo braccio sinistro aveva i suoi vantaggi, perché la Baker picchiava con il destro… e a me non andava di sporcarmi le mani con certa marmaglia.
    «Basta. Ricordati che ci è più utile vivo», Lorna Baker fermò Adrian.
    «Sì, hai ragione», ammise a fatica quello stupido.
    «Caro Gerrard, tu mi insulti… E prima ancora cerchi di fregarmi in affari. Eppure io sono generosa, con te.
    Ti ho portato un regalo…», lo lusingò Lorna.
    «Dammelo, ti prego…! DAMMELO!», Gerrard era molto impaziente di averlo.
    «Ah, vedo che hai già capito…
    Dottor Werner, lasciate che il nostro ospite si serva», ordinò Lorna.
    «Va bene», e il dottore allungò una scatoletta in direzione di Gerrard.
    «DAMMELO!», il prigioniero si prese il suo regalo senza tanti complimenti, e una volta aperta la scatoletta, ne prelevò un piccolo frutto sferico, tutto ricoperto di microscopiche spine; un attimo dopo se lo strinse nel pugno, facendone grondare uno strano liquido e andando letteralmente in estasi pochi secondi più tardi.
    «Che spettacolo disgustoso!», commentò Adrian.
    «Io lo trovo affascinante, invece», rettificò prontamente Werner.
    «Quel che si dice un “regalo azzeccato”, Gerrard. Del resto, ormai conosco i tuoi gusti», lo stuzzicò la Baker.
    «Attenta, Lorna. Sta per passare alla seconda fase», la avvertì il dottore; ma io ero già pronto a intervenire, se ce ne fosse stato bisogno.
    «Sgualdrina… TI AMMAZZO!», Gerrard era passato dall’estasi alla furia in brevissimo tempo; ma la catena che lo legava era robusta ed egli non poteva nuocere a Lorna Baker.
    «Diventa sempre più forte e brutale. Ma non c’è nessun mutamento fisico», commentò Werner.
    «Bene, dottore. Forse siete sulla strada giusta», lo incoraggiò la Baker.
    «E’ già nella terza fase. I tempi si stanno riducendo!», proseguì Werner, facendo notare che dopo l’estasi e la furia, il prigioniero-cavia era passato ad uno stato di acuta sofferenza.
    «Questo potrebbe essere un problema», credo la Baker alludesse alle auspicate applicazioni di quella droga in campo militare e paramilitare.
    «Non ce la faccio più, vi prego… Uccidetemi!», Gerrard si era inginocchiato.
    Il gioco era ormai finito, Lorna fece cenno di uscire ed il prigioniero rimase di nuovo solo nella sua cella.
    Quella storia mi piaceva sempre meno. La Baker era troppo presa ed il giro era troppo grosso. Qualcosa sarebbe andato storto e io avrei dovuto approfittare di quel momento per trovare una via di fuga insieme a lei. Insieme a lei soltanto.
    Il giorno dopo, Lorna passava in rassegna le foto del regolamento di conti con gli amici di Gerrard. I ragazzi erano rientrati e avevano fatto un buon lavoro.
    «Da non crederci!
    Davvero bastano appena sessanta secondi, per una foto così?», Lorna si mostrava sorpresa delle nuove macchine Polaroid, ma a me non facevano né caldo né freddo.
    «E’ il progresso, Lorna!
    In compenso, quell’idiota di Norman ha impiegato un buon quarto d’ora a tirare le cuoia, strillando tutto il tempo come un agnellino al macello!
    Ti sei perso qualcosa, Blayne!», insomma, secondo Fraser, c’erano voluti almeno sedici minuti per avere l’ultima posa di Norman Stafford, e tutto questo tempo nonostante la nuova, portentosa Polaroid…
    «Già. Peccato che non c’era posto per due nel bagagliaio», quel sadico di Blayne si riferiva al fatto che Parker aveva fregato Norman e soci occultandosi nel vano posteriore dell’auto.
    «I corpi li avete lasciati dov’erano, vero?», Lorna riportò la discussione su questioni di sostanza.
    «Sì, Lorna. Come ci avevi ordinato», rispose Fraser.
    «Molto bene. Saranno un messaggio forte e chiaro.
    Norman usava quel posto per incontrare i propri clienti. Adesso, quando andranno lì e lo troveranno cadavere, capiranno che è ora di cambiare fornitore…», Lorna era particolarmente splendida quel giorno, fasciata alla perfezione da uno dei suoi vestiti scuri da vamp.
    «E, per avere la merce più prelibata, non avranno scelta.
    Il mercato è nostro, tutto nostro. Chi prova a rubarcene una fetta, diventa cibo per vermi», Adrian faceva il duro, senza essere nessuno.
    «Giusto, Adrian. Non bisogna avere pietà, mai…», e si beccò pure l’elogio della Baker; ma io non mi preoccupavo certo dei tipi alla Norman Stafford…
    Il pericolo sarebbe venuto dai federali, ed allora lo avrei voluto vedere quel galletto di Adrian…
    Ed infatti, soltanto un paio di sere più tardi, il dottor Werner e i ragazzi tornarono alla base visibilmente scossi.
    «Maledizione, ancora lui… Brad Barron!
    Speravo che i nostri destini non si sarebbero mai più incrociati! E invece…», Werner stava recriminando davanti a Lorna e allo stato maggiore.
    «Non dovreste stupirvi troppo, dottor Werner. Anzi, se ci riflettete, l’arrivo in scena del vostro celebre ex collega era abbastanza prevedibile», mica fessa Lorna…
    «Mmm… Voi dite?», Werner non era ancora convinto.
    «Anche lui è un biologo, esperto in forme di vita aliene. E non ne esistono molti, con lo stesso livello di competenza», la Baker era perfettamente obiettiva; come una Polaroid istantanea; ma molto, molto più bella.
    «Ma come sarà arrivato in quel locale, proprio mentre eravamo lì noi?!», fu Parker a spremersi le meningi.
    «Domanda interessante…», l’espressione di Lorna si fece dura, dura come lei.
    «Deve avere seguito una pista. Qualcuno gli avrà fornito delle informazioni. Secondo me, sta lavorando con i federali», niente da dire: Adrian era un vero genio; come avremmo fatto senza di lui?
    «Sì, Adrian. Lo credo anch’io», e Lorna lo faceva pure sentire importante…
    «Beh, noi eravamo andati lì a trattare una vendita con un cliente che prima si riforniva da Norman Stafford…
    Un certo Robert Harvey, che usa come “ufficio” proprio quella sala da bigliardo», Fraser stava in qualche modo rispondendo a Parker.
    «Forse Barron stava cercando lui!
    In ogni caso, non si aspettava di trovarmi! Quando mi ha visto è apparso piuttosto sorpreso!», Werner se ne rallegrava come se la cosa avesse ancora una qualche importanza.
    «A proposito, che bisogna c’era di portare con voi il dottor Werner?», Lorna guardò Parker e lui si affrettò a rispondere, visibilmente preoccupato: «Non è stata un’idea nostra!».
    E Werner lo fece assolvere: «E’ vero. Ho voluto parlare con quello spacciatore per farmi un’idea più precisa della situazione…
    Sembra che gli… effetti secondari della nostra merce siano ormai diventati un grosso problema. Ma, per fortuna, mi sento vicino alla soluzione.
    In ogni caso, ero stanco di starmene rintanato in questo buco. Non mi considero un prigioniero».
    «Sicuro. Voi siete un ospite di riguardo. Perciò ho a cuore la vostra incolumità», Lorna ebbe gioco facile nel blandirlo.
    «Allora, come la mettiamo con Barron? Io, Fraser e Parker lo avevamo già incontrato, quando eravamo prigionieri dei Morb…! E’ un dannato osso duro!», fu Blayne a frignare.
    «La questione non mi spaventa, Blayne.
    Dottor Werner, voi che lo conoscete così bene, raccontateci tutto di lui…», Lorna era troppo sicura di sé e si stava facendo affascinare da quel tipo…
    Ricevute le informazioni desiderate, la Baker sciolse la riunione e se ne andò a rimuginare nel suo studio.
    Quella stessa notte, mi infilai nel suo letto, deciso a convincerla che doveva essere molto prudente: quel Barron puzzava d’inferno…
    Sapevo che avrei potuto scatenare la gelosia di Adrian, e fu perciò che prestai molta attenzione a non farmi né notare, né sentire.
    Ma nel cuore della notte, fu Lorna a sentire per prima un leggero rumore di passi provenire dall’esterno della sua camera…
    A malincuore mi decisi a sgusciare dal letto della Baker, per occultarmi dietro la porta, pronto a usare la mia automatica.
    Lorna rimase in attesa, fingendo di dormire saporitamente, per poi accennare a risvegliarsi: «Mmm…»; credo che il suo intuito femminile l’avesse preavvertita dell’arrivo di Adrian, ed anche a lei premeva evitare inutili discussioni e scene di gelosia.
    Quando la maniglia della porta si abbassò, cigolando, e poco dopo sulla soglia apparve Adrian, lei si mostrò simulatamente sorpresa.
    «Lorna… Mi dispiace. Non volevo svegliarti», si giustificò Adrian; ero sicuro che stesse indugiando con lo sguardo sulle discinte bellezze della donna.
    «Ho il sonno leggero. Ormai dovresti saperlo. Ma cosa ci fai in piedi?», la scusa era ottima e la domanda pure.
    «Mi era sembrato di sentire un rumore. Sono andato a controllare e…», poverino, se avesse capito subito da dove proveniva quel rumore…
    Ma anch’io stavo sbagliando. Forse Adrian si riferiva a qualcos’altro, perché un attimo dopo lanciò un urlo di dolore: «Ah!», e crollò a terra esanime.
    «Adrian!», Lorna si ritrovò faccia a faccia con Gerrard, il quale mulinava minaccioso l’estremità libera della catena che ancora gli stringeva il collo.
    «Lui non può più aiutarti. Nessuno può più farlo.
    Adesso ce la vedremo fra noi due, Lorna!», e invece Gerrard si sbagliava perché c’ero ancora io tra lui e Lorna, e presto si sarebbe accorto anche di me…
    «Così sei riuscito a liberarti. Notevole.
    Posso sapere come mi hai trovata?», curiosità femminile, suppongo.
    «Ho seguito il tuo odore!», probabilmente la droga gli stimolava i sensi e l’odore della Baker era inconfondibile anche per uno che non si drogava.
    «Bravo, Gerrard. Sono fiera di te. Anche se bisogna riconoscere i meriti del dottor Werner…
    Hai guadagnato forza e acuito i sensi, senza però trasformarti in una specie di zombi. Un eccellente risultato, non trovi?», Lorna si manteneva perfettamente fredda e padrona della situazione, come sempre; ed io dovevo aspettare che lei si trovasse in difficoltà per intervenire, altrimenti mi avrebbe spellato vivo con le sue stesse unghie.
    «TACI, SGUALDRINA!
    MUORI!», Gerrard avanzò di un passo e tornò a mulinare la catena, ormai deciso a scagliarla contro Lorna.
    Ma la risposta della Baker non si fece attendere: «Dopo di te, idiota…».
    BLAM
    «AARGH!».
    Lorna afferrò il fucile a pompa che teneva sempre carico sotto il letto e con un sol braccio esplose un devastante colpo contro Gerrard, il quale lanciò un urlo straziato, prima di crollare esanime a terra.
    Il mio intervento non si era reso necessario, ma ci mancò poco che la grossa pallottola che aveva trapassato Gerrard non beccasse anche me…
    La sera successiva, Lorna comunicò ai ragazzi che aveva deciso di liquidare Barron, ma in merito alle modalità del lavoro si sollevarono delle rimostranze: «Insomma, Lorna! Che storia è questa…?
    Per quale ragione non dovremmo andare noi a sbrigare il lavoro…? Forse non ti fidi più?!», protestò Fraser.
    «Tranquillo, Fraser. Non è una questione di fiducia. Il posto potrebbe essere sorvegliato… E i federali conoscono fin troppo bene le vostre brutte facce», Lorna li tranquillizzò.
    «Questo è vero!», Blayne c’era arrivato.
    «Chi se ne occuperà, allora?», fu Fraser a parlare.
    «Logan e Warren.
    Professionisti in gamba, quasi quanto voi», Lorna non voleva umiliarli.
    «Sì… quasi», rimarcò Fraser, che ci teneva a non perdere il posto.
    Ma Lorna non lasciò certo inoperosi i ragazzi: il giorno dopo li mandò a beccare Robert Harvey, il quale fu condotto alla base e interrogato a fondo.
    Non contenta delle sue risposte, Lorna gli preparò un bel tiro. La mattina seguente, radunò gli uomini nel garage del palazzo e cominciò a predicare: «Nel 1943 scarseggiavano gli uomini… Erano partiti in tanti, per combattere nella seconda guerra mondiale. Non ce n’erano abbastanza per il baseball.
    Così organizzarono un campionato femminile, reclutando le ragazze più in gamba… E io ero una di queste».
    «Altroché! Una delle migliori!», fece da controcanto Fraser.
    «Ho imparato molte cose importanti… Per esempio, che in una squadra non possono esserci elementi inaffidabili. Ne basta uno, per compromettere tutto.
    Avanti, tiratelo fuori!».
    «Subito, Lorna…», Parker si mosse verso il bagagliaio di un’auto e lo aprì: «ANDIAMO! SCENDI!»; senza tanti complimenti scaricò a terra il bagaglio: «Ma… Ouch!».
    Lorna si avvicinò minacciosa brandendo una mazza da baseball: «Buongiorno, Harvey. Oggi hai qualcosa di nuovo da dirmi?».
    «Io… ti ho già detto tutta la verità…!
    Non ho la minima idea di come quel tizio sia arrivato nella sala da bigliardo, proprio mentre eravamo lì, tutti insieme! Deve essere stata una coincidenza!», insistette Harvey, in ginocchio e con le mani legate dietro la schiena.
    «Okay, ti credo. Tu non sei stupido quanto il tuo ex socio Norman Stafford», Lorna lo stava illudendo.
    «Ma allora… non hai intenzione di uccidermi?!», Harvey c’era cascato.
    «No, Harvey. Sarebbe un’inutile crudeltà.
    Alzati e vattene, svelto! FUORI DAI PIEDI!», il prigioniero si tirò su da terra e con occhi disperati cercò subito di guadagnare terreno, mentre Lorna lo fissava con un sorriso crudele stampato sul volto superbo.
    Poi, nel giro di un attimo, con un gesto ferocemente repentino, gli fracassò il cranio come se stesse colpendo una palla da baseball: «AAH!»; fu l’ultimo lamento di Robert Harvey, che cadde sulle ginocchia, ormai colpito a morte; ma ancor prima che potesse crollare a terra, Lorna lo finì con una mazzata in fronte; Harvey non ebbe nemmeno il tempo di lanciare un altro lamento: stramazzò sul pavimento del garage e una pozza di sangue si allargò sotto la sua testa.
    Perfino Parker ne fu inorridito.
    «Non era degno di giocare nella nostra squadra.
    E non è stato abbastanza svelto ad andarsene», parola del capitano Lorna Baker.
    «Per la miseria, Lorna…», Adrian accennò a qualche rimostranza, mentre la Baker gli passava la mazza.
    Ma lei lo ignorò completamente: «Ora avete qualcosa su cui meditare, signori! Ho ragione di credere che ci troviamo in pericolo… E devo poter contare su tutti voi, nel modo più assoluto!
    Parker! Togli di torno questo sacco di letame!».
    «Subito, Lorna».
    «Mmm… Non vedo Blayne. Che fine ha fatto?», Lorna si insospettì della sua assenza e chiese spiegazioni a Fraser.
    «Non ne ho idea. Era qui, poco fa. Se n’è andato appena prima che iniziasse lo spettacolo…», ma Lorna rimase fortemente perplessa.
    Quella stessa sera, mi portò con lei sull’attico del nostro palazzo, da dove si dominava New Haven e tutto quel che ne rimaneva, dopo le devastazioni dei Morb.
    Mi confidò le sue paure, i suoi dubbi, e mi disse che aveva bisogno di me; ma con gli altri doveva mostrarsi forte, feroce, doveva sempre tenerli in pugno.
    Io le feci notare che non avrebbe dovuto sporcarsi le mani con furfanti del calibro di quell’Harvey. Quella era gente che si svendeva per una manciata di dollari, mentre lei era un simbolo, un mito vivente, una donna invincibile che non temeva nulla e che non aveva prezzo.
    E le suggerii di preservarsi: doveva studiare un piano di fuga, da mettere in atto qualora le cose fossero precipitate; doveva pensare solo a sé stessa; gli altri non significavano molto; io stesso mi sarei fatto da parte, se lei avesse voluto.
    Mi rispose che aveva già pensato a tutto e che avrebbe portato con sé solo me e Adrian, e con noi avrebbe ricominciato tutto da un’altra parte, come già aveva fatto dopo aver lasciato Chicago.
    Ero soddisfatto, ma quello che chiedevo alla sorte in quel momento era di togliermi di mezzo, una volta per tutte, quell’ingombrante damerino di Adrian.
    E proprio mentre pensavo al mio rivale, ecco la sua auto che faceva ritorno alla base…
    Poco dopo ci raggiunse sull’attico: «Lorna, sono tornato…»; io mi feci un po’ in disparte.
    «Sì, lo so. Ho visto la tua auto, dall’alto. Ero qui ad aspettarti.
    Allora, Adrian… Come è andata la missione a New York?», Lorna voleva delle risposte.
    «Ho novità interessanti.
    Fa sempre comodo avere uno sbirro sul libro paga. Soprattutto se sa tenere orecchie e occhi bene aperti…», Adrian era il solito damerino.
    «Arriva al dunque, per favore», anche Lorna non ne poteva più.
    «Beh, la notizia viene tenuta segreta… Ma, a quanto pare, ieri notte c’è stata una sparatoria, nella casa del professor Brad Barron.
    Sono morti due uomini, identificati come Martin Logan e Steve Warren», Adrian era insopportabile: pretendeva forse che Lorna non conoscesse i nomi dei suoi uomini?
    «Nulla che non mi aspettassi», confermò Lorna.
    «Poteva andare peggio…! Se non altro, i cadaveri non parlano!», quell’idiota neppure prendeva in considerazione l’ipotesi che avessero parlato prima di tirare le cuoia.
    «Già. A volte è un vantaggio», Lorna lo assecondava; sapeva anche lei che in fondo non era altro che un idiota, ma d’altra parte le era fedele, come me, e questa era in assoluto la qualità più importante nel nostro giro, specie se il capo era una donna.
    «I federali non hanno nessuno da interrogare, Lorna! La nostra sicurezza non è compromessa!», io l’avrei fatto volare dall’attico fino alla strada di sotto.
    «Così sembra, Adrian. Però è meglio non essere troppo ottimisti. Continuiamo a tenere la guardia alta…», Lorna sembrava quasi rivolgersi ad un poppante piuttosto che al numero due dell’organizzazione.
    Ci illudemmo tutti, ancora per un paio di giorni, poi la nuova alba portò un mucchio di guai: tanto per buongiorno, Blayne si era impossessato delle piantine della droga aliena e stava cercando di fuggire a bordo di un’auto; Fraser, Parker e il dottor Werner si erano lanciati al suo inseguimento, ma entrambe le macchine erano ormai fuori vista e non c’era modo di capire se Blayne potesse farcela.
    L’eco di alcuni spari mi fece pensare che forse era stato raggiunto.
    Ma i ragazzi ancora non si facevano vivi e questo era un segnale inquietante. Lorna era spazientita e cominciò ad avere un presentimento che in breve tempo si tramutò in una rovente realtà di piombo.
    Fuori si stava scatenando l’inferno; avevamo i federali alle porte; i ragazzi si erano fatti beccare e qualcuno aveva parlato; altro che i cadaveri di Adrian…
    Ormai era finita, non rimaneva che tagliare la corda.
    Lorna era determinata a salvarsi e aveva già pronta una valigetta con le cose più importanti; non perdemmo tempo nel salire sull’attico, dove ci aspettava un elicottero, fatto venire dalla Baker il giorno prima; Adrian sapeva pilotare, almeno una cosa la sapeva fare.
    Guardammo sotto, prima di salire a bordo, ma ormai i federali stavano entrando nell’edificio: era davvero finita.
    Lorna diede l’ordine di partenza e poco dopo ci alzammo in volo: tutto sembrava filare liscio, in pochi minuti avremmo detto addio a quei balordi di federali, ma invece…
    Qualcosa colpì la coda dell’elicottero e Adrian perse il controllo del velivolo: dopo un paio di piroette, ci schiantammo rovinosamente sull’asfalto; nella caduta mi avvinghiai a Lorna, cercando di proteggerla con il mio corpo: la cosa portò fortuna ad entrambi, perché ne uscimmo praticamente illesi, a differenza di Adrian, scaraventato fuori dall’abitacolo con la schiena sul selciato, che sembrava morto stecchito.
    Proposi a Lorna di aprire una macchina e andarcene, ma quella stupida aveva altre idee per la testa: sembrava intenzionata a far secco qualcuno prima di mollare tutto, forse voleva regolare un conto personale; e con la valigetta e l’inseparabile fucile a pompa si nascose dentro uno stabile; nel camminare si rese conto di aver perso una scarpa, ma non si attardò nel cercarla, togliendosi al contrario anche l’altra; io non potevo far altro che seguirla, era come invasata, furente per lo scacco subito.
    Poco dopo, riconoscemmo Brad Barron mentre si avvicinava al relitto del nostro elicottero, armi in pugno. Forse era stato lui ad abbatterci. Anzi, la pistola Morb che impugnava ne era la conferma.
    Vidi balenare uno sguardo assassino negli occhi di Lorna, ed era troppo tardi per cercare di fermarla.
    Fui afflitto da un terribile presentimento: Lorna rischiava di rimanere uccisa. Era troppo invasata, troppo sicura di sé, e non aveva capito che per crepare ci voleva molto poco.
    Ma lei mi ignorò e caricò il fucile.
    In qualche modo fu il mio stesso panico di perderla, a giocarmi un brutto tiro e a rallentare le mie azioni.
    Un attimo dopo Lorna era su strada e fece fuoco…
    BLAM
    Ma Barron aveva intuito la minaccia; Lorna caricò di nuovo, la sentii urlare: «Crepa!», ma prima che potessi intervenire, Barron aveva risposto al fuoco con la sua pistola Morb…
    FWOOMP
    BLAM
    Il fucile di Lorna fece da eco alla pistola di Barron.
    Dall’uscio dello stabile, vidi una fiammata raggiungere Lorna e vidi lei cadere a terra esanime.
    Ero raggelato!
    Tuttavia ebbi l’impressione che il suo fucile a pompa avesse in qualche modo fatto da scudo, ed il colpo all’aria sparato per reazione mi sembrò una buona conferma. Era l’unica cosa in cui potessi ancora sperare.
    Barron lanciò un’occhiata a Lorna, stesa a terra, ma non si avvicinò più di tanto: forse pensava fosse inutile; ormai credeva che i giochi fossero chiusi, ma aveva sottovalutato Adrian, il quale comparve silenzioso alle sue spalle e senza alcuna esitazione gli sparò nella schiena…
    BANG
    «AH!», anche Barron urlava di dolore se colpito; per il momento era una modesta consolazione.
    «Io la amavo, maledizione…
    Lei era tutto, per me! Riesci a capirlo?!», perfino in una situazione come quella, Adrian trovava il tempo per fare il galletto…
    Ma un attimo dopo stramazzò a terra, mentre Barron, anche lui al tappeto, sembrava quasi rispondere alla sua domanda: «Gloria… Lucy…», invocava cioè la moglie e la figlia, che erano tutto per lui.
    Adrian non aveva neppure pensato di sincerarsi se Lorna fosse davvero andata; è vero che era anche lui agli sgoccioli, ma il tempo per sprofondarsi in una stucchevole dichiarazione d’amore l’aveva trovato.
    Il mio istinto era ben diverso, e nella specie fu quello di catapultarmi su Lorna e di provare a tenerla in vita, qualora respirasse ancora. Dovevo tentarle tutte prima di arrendermi all’evidenza che fosse morta. In fondo era stata appena colpita e poteva ancora essere viva.
    Lorna era stesa inerte a terra, ma il corpo era integro, il volto non ancora esangue e l’espressione non così rigida da potersi confondere con la postura fatale, resa definitiva dalla morte.
    Lorna era ancora bellissima.
    [continua]


    Brad Barron
    Tornata dall'inferno (seconda parte)

    [segue]
    Le toccai la carotide e mi accorsi che non mi sbagliavo, perché lei era ancora viva.
    Cercai di rianimarla con una buona dose di whisky, l’avevo sempre con me, ed infine riprese conoscenza, ma solo perché i suoi occhi fossero invasi dal terrore.
    Aveva capito di essere ancora viva, nonostante quell’arma a raggi uccidesse quasi sempre sul colpo, ma al tempo stesso stava comprendendo molto in fretta di essere ormai in viaggio per l’inferno.
    Abbassò gli occhi sulla ferita e quando li rialzò verso di me erano ancor più spaventati di terrore.
    Neanche una come lei sembrava in grado di tenere sotto controllo una ferita come quella.
    Una dannata ferita, molto estesa, ed in pieno addome.
    Ma per essere una ferita di pistola Morb, era straordinario che lei fosse ancora viva; molto probabilmente, il grosso fucile a pompa che in quel momento stava abbracciando, l’aveva protetta dalle peggiori conseguenze del raggio; i raggi Morb di solito penetravano i tessuti come burro e lasciavano buchi da due a cinque pollici di diametro, a seconda della potenza dell’arma.
    Per di più era piuttosto chiaro che Barron non avesse ridotto il potenziale d’energia della sua colt aliena ed il suo raggio s’era divorato un bel po’ di budella dall’addome della bella Lorna, ma senza penetrare in profondità.
    «Doug…! Doug…!», mi tirò per il braccio in maniera isterica.
    Nello sforzo di parlare vomitò un fiottolo di sangue.
    Quel bastardo di Barron l’aveva fregata.
    Il mio presentimento si stava purtroppo avverando: un brutto destino sovrastava Lorna Baker.
    Poiché non era più in grado di parlare, cercai di interpretare il suo sguardo: volevo sapere se lei avesse capito cosa l’aspettava.
    Rimasi a guardarla in cerca di una risposta, ma mi scossi dopo che vidi il suo petto gonfiarsi d’improvviso alla disperata ricerca d’aria.
    Il tempo stava scorrendo in fretta.
    Presto quei cani dei federali ci sarebbero stati addosso.
    Dovevo portarla via da lì alla svelta.
    Ma prima di far questo, potevo anche dare il colpo di grazia a Brad Barron, che stava rantolando a non più di cinque-sei piedi da Lorna…
    Tuttavia era inutile fare altri danni, e per di più, il ritrovarsi tra i piedi un ferito grave avrebbe rallentato la caccia dei federali.
    Lasciai per un attimo Lorna e adocchiai un’auto. La forzai, buttai giù il sedile anteriore e poco dopo ci allungai sopra la Baker; non dimenticai di prendere anche la sua valigetta, perché mi sarebbe servita comunque.
    Quindi me ne andai da lì, cercando di muovermi con la massima prudenza; non dovevo farmi beccare; ed intanto rimuginavo in fretta dove portarla, tenendola sempre sotto controllo con la coda dell’occhio: aveva la bocca bene aperta, quasi spalancata, ed un’espressione più che incredula, anzi sbalordita, forse per quella fine che giungeva tanto amara quanto imprevista. Lei uccisa come una qualunque…
    Non c’era più molto di vivo nei suoi occhi tenebrosi. Ma rimaneva anche così, in quelle sfortunate condizioni, una donna di raro carisma, che solo la freddezza consumata di Barron era riuscita ad abbattere.
    Gli occhi languidi di Lorna mi perseguitavano mentre guidavo, pur non vedendoli direttamente.
    E cominciai a capire sempre meglio il senso di quell’espressione sbigottita che portava sulla faccia: Lorna non si aspettava di rimanere uccisa in quel modo, ovvero di essere colpita da una pistola Morb a pieno potenziale. La Baker era in effetti convinta che le sue forme avvenenti e procaci l’avrebbero comunque protetta. Era una donna, una bellissima donna. Nessuno le avrebbe sparato contro. Ma questo errore di presunzione si era rivelato fatale e lei non se ne dava pace.
    Barron non si era fatto tanti scrupoli e se l’avesse colpita in pieno petto, a quest’ora Lorna Baker sarebbe rimasta cadavere sull’asfalto, con un buco da tre pollici nel torace.
    Insomma lei non se l’aspettava, ne ero convinto. Lorna era stata troppo sicura di sé, ma Barron non era Gerrard, e l’aveva punita.
    Intanto avevo capito dove portarla; le strade erano pulite, e i federali dovevano essere impegnati nell’assalto al nostro palazzo; a quei cani non andava a genio la collaborazione della polizia locale e questo aspetto giocava a mio favore; pigiai il piede sull’acceleratore ed in pochi minuti raggiunsi una clinica di mia fiducia, dove sapevo di poter contare su una certa discrezione.
    Tuttavia mi era piuttosto chiaro che a Lorna non sarebbe bastata una cura tradizionale; dovevo procurarle qualcosa di speciale, non da ultimo la stessa droga Morb, oppure - ancor meglio - dei ritrovati specifici per quel tipo di ferita; ma non potevo certo ottenerli da una clinica terrestre, sia pur di prim’ordine.
    Mi venne in mente un’idea e decisi di andare fino in fondo su quella strada, anche a costo di esporre Lorna ad effetti collaterali, perché altrimenti ero sicuro che l’avrei perduta.
    Entrato nella clinica, mentre la portavano d’urgenza in sala operatoria, non persi tempo a telefonare ad un mio fraterno amico che la vita aveva spinto a lavorare per l’FBI: sapevo che i federali avevano le mani su un mucchio di marchingegni, miscele e composti alieni, e fra tutti questi non poteva mancare un rimedio contro le loro stesse armi a raggi.
    Gli dissi che si trattava di salvare una vita umana, una persona a me cara, rimasta gravemente ferita dal raggio di una pistola Morb, e che l’aspettavo alla clinica in cui mi trovavo, sotto il nome di John Smith; aggiunsi che doveva far subito e che non doveva parlarne con nessuno.
    Intanto però le condizioni di Lorna si erano ulteriormente aggravate e i medici si erano rifiutati di operarla.
    La Baker fu sistemata su un letto, dove avrebbe atteso la fine. Il mio amico era la sua ultima speranza.
    Non era facile guardarla, in quel momento. I suoi occhi erano sconcertati, perché sapeva di essere ormai impotente, una sensazione del tutto nuova per lei.
    Cercava comunque di allungare il più possibile la sua agonia, anche se le costava sangue e sudore.
    Una donna come lei non poteva mai rassegnarsi del tutto, e anche se era ormai inutile, il suo istinto la portava ad aggrapparsi, con disperazione quasi disumana, alle sue ultime forze.
    Lei mi guardava con quella sua espressione incredula, a bocca aperta. Ancora stentava a credere di essere ridotta agonizzante su un letto d’ospedale.
    Mi cercava con gli occhi, cercava da me un segnale, una speranza, ma io cosa potevo darle?
    Per lei non c’era più molto da fare. Io potevo solo sperare che il mio amico Kit arrivasse in tempo con qualcosa di utile. Ci eravamo conosciuti in guerra e questo tipo di cose contava molto, anche a distanza di anni.
    Da qualche minuto Lorna non mi guardava nemmeno più. Ormai i suoi occhi volteggiavano verso il soffitto e il petto era sempre più stremato dagli sforzi che sosteneva nel sollevarsi, nel sollevarsi ancora, e nel sollevarsi di nuovo, sempre più pesante e impacciato. Ogni volta, ormai, temevo fosse l’ultima.
    Il sipario stava calando su Lorna Baker. E anche piuttosto in fretta. Lei non sembrava più in grado di opporre resistenza.
    La donna prostrata sul letto, accanto a me, non sembrava nemmeno una lontana parente della Lorna Baker che si riteneva imbattibile e che - non più di due ore prima - avevo visto impugnare un fucile a pompa contro Brad Barron, con una ferocia degna d’una belva.
    Non potevo star fermo a guardarla, e reagii nell’unica maniera di cui ero capace: chiamai l’infermiera e chiesi che le venisse fornito ossigeno.
    La tipa mi guardò strano, l’ossigeno forse non era previsto per i malati terminali, ma dopo averle allungato un paio di centoni, fece quello che le avevo chiesto e di corsa.
    Quindi mi accostai a Lorna e le asciugai il sudore freddo che le colava giù per il collo fino in pieno petto. La contemplai così com’era: tutta avvolta nel sudore della sua morte. Ma era sempre bellissima.
    «Devi reggere ancora un po’, Lorna; sta venendo il mio amico Kit con una medicina molto speciale. Vedrai che sarai tu a mettere nel sacco quel bastardo di Barron…», cercai di illuderla ancora per un po’.
    Finalmente arrivò Kit con una borsa alla mano.
    Lo abbracciai forte e fui tutto orecchie.
    Mi disse che ancora non se ne sapeva molto, ma che comunque quella schiuma vegetale che aveva nella borsa si pensava fosse un rimedio contro i tessuti biologici squarciati dalle armi a raggi.
    «Proprio quello che ci serve, Kit! E la mia amica Lorna non ha tempo per aspettare le sperimentazioni cliniche. Forza, diamoci da fare…», lo esortai.
    Ed intanto chiamai di nuovo l’infermiera, a cui dissi di eseguire le istruzioni del mio amico; stornai la sua espressione interrogativa con un altro paio di centoni e poco dopo lo strano composto schiumogeno fu applicato su tutta la ferita di Lorna.
    Dopo che l’infermiera ebbe finito, Kit si sbottonò: «Questa roba è stata classificata come un potente rigenerante di tessuti, con proprietà antiemorragiche; spero davvero che la tua amica se la cavi, mai visto una donna così bella…».
    «Non farti strane idee sul suo conto, okay, Kit?», e gli schiacciai l’occhiolino, euforico com’ero per aver ritrovato la speranza di salvare Lorna.
    «Naturalmente potrebbero esserci degli effetti collaterali, trattandosi di rimedi ideati per i tessuti Morb…», proseguì Kit.
    «A quelli penseremo poi, Kit. Se Lorna ci lascia le penne non dovrà preoccuparsi di alcun effetto collaterale.
    La Morte non ha controindicazioni», pensai così di tranquillizzarlo.
    Sapevo bene che c’era il rischio che la Baker contraesse malattie Morb, ma lei non aveva più nulla da perdere.
    Mi feci lasciare la borsa da Kit e lo ringraziai fraternamente.
    Per alcune ore le condizioni di Lorna rimasero stazionarie al punto disperato in cui erano arrivate: ma era ancora viva e questo era un risultato insperato.
    Anche i medici cominciavano a meravigliarsi della resistenza della donna, perché contavano sul fatto che il letto fosse lasciato libero già da un paio d’ore.
    Ragionai se fosse il caso di ripetere l’applicazione, ma alla fine decisi che era meglio aspettare: potevo finire di ammazzarla con quella roba e ne sapevo troppo poco per rischiare.
    Ma se Lorna era ancora viva, nonostante le funeste previsioni dei medici, voleva dire che quella schiumaccia stava facendo un buon lavoro.
    Il resto lo doveva fare lei, con la sua straordinaria forza vitale.
    E fu lei stessa, ad un certo momento, a volersi togliere la maschera dell’ossigeno.
    Non poteva ancora parlare, ma mi sembrava riuscisse a sollevare il petto con maggiore regolarità e tanto mi bastava.
    Con gli occhi era tornata a guardare anche il resto della stanza, oltre al soffitto, e questo era un altro particolare molto interessante.
    Affittai la stanza e l’infermiera e rimasi a vegliare Lorna per tutta la notte.
    Il mattino dopo, la Baker era in grado di parlare: «Non è… anco-ra fi-ni-ta… Doug…», sussurrò a stento, quale suo primo pensiero.
    Si guardava intorno come fosse nata per la seconda volta, incredula stavolta non per essere giunta sull’orlo del precipizio, ma per aver superato la curva più difficile.
    «Ce la spasseremo ancora, Lorna. Andrà tutto bene.
    Ma non devi più fare di testa tua, okay?
    Stavi per lasciarci la pelle, non è così?», volevo che lei lo ammettesse.
    «Ho sempre… avu-to… il control-lo… Doug…», sapevo che lei non lo avrebbe mai ammesso: questa era la vera Lorna Baker.
    «Non raccontarmi balle, Lorna. Poche ore fa stavi mollando tutto…», la incalzai.
    «Io non pos-so mori-re…», fu la suprema sintesi di Lorna.
    Ma non capivo se parlasse al passato o al presente.
    Rimasi per un attimo molto angosciato.
    «Tu sei invincibile, Lorna. Ma non devi commettere imprudenze.
    Ora ti starò sempre davanti, che ti piaccia o no…», ero deciso a non darle più alcuna autonomia, anche se non sarebbe stato facile, e sempre che uscisse da quella clinica senza passare per la camera mortuaria.
    Per due giorni di seguito, Lorna mostrò alcuni leggeri segni di miglioramento.
    Kit non si fece sentire, perché si era già esposto troppo, ma ero sicuro che fosse dannatamente curioso di sapere come stesse andando.
    Il terzo giorno dopo il drammatico ricovero di Lorna, mi sembrò che il pesce stesse ormai puzzando e decisi di trasferirla in un luogo più discreto.
    Preparai il terreno con un paio di telefonate ed infine, a bordo di un’ambulanza, guidata da me stesso, trasportai Lorna nel covo segreto di cui mi aveva parlato, e che era attrezzato per questo tipo di emergenze; lungo la strada, feci salire a bordo un medico di prim’ordine, che avrebbe fornito a Lorna ogni necessaria assistenza.
    Avevo pensato a tutto; ora toccava a Lorna recitare bene la sua parte, evitando di scivolare all’inferno come una stupida.
    Di certo non avrebbe mollato tanto facilmente, ma la ferita era davvero dura, anche per una come lei.
    Ah, se avessi messo di nuovo le mani su Brad Barron…!
    Forse non l’avrei risparmiato.
    Come aveva osato colpire Lorna Baker con una pistola Morb a pieno potenziale?
    Una tragica fatalità o la deliberata decisione di ucciderla?
    L’avrei scoperto, prima o poi, e se…
    Ma non volevo pensarci, perché se Lorna Baker ci fosse rimasta secca, Brad Barron avrebbe pagato caro il suo gesto, tragico errore o non che fosse stato, sempre ammesso che se la fosse cavata dalla pallottola nella schiena che gli aveva regalato Adrian.
    Per fortuna anche l’inferno era in imbarazzo con la Baker, e Lorna cominciò a migliorare vistosamente.
    L’intruglio schiumoso di Kit si era rivelato un toccasana, per Bacco!
    In quel momento ancora non sapevo che Lorna avrebbe pagato a caro prezzo quella strana cura.
    Non facevo altro che godermi l’euforica sensazione di potermi ancora tenere vicino a Lorna Baker, e perfino più vicino di prima…
    Non appena Lorna si sentì fuori pericolo, cominciò a darmi un sacco di ordini su come riorganizzare gli affari.
    I soldi non le mancavano e con i soldi fu tutto più semplice.
    Creammo una nuova società anonima di capitali, che rendesse il nostro personale contributo del tutto discreto.
    Dopo che ebbe saputo come si fosse salvata le chiappe, Lorna decise di specializzare le attività sulle tecnologie e conoscenze dei Morb.
    Fece allestire un laboratorio-fortezza nei dintorni di Abilene, in Texas, e non badò a spese per assicurarsi un pool di qualificati scienziati e ricercatori.
    Quando fu ristabilita a sufficienza, ma pur sempre ancora in carrozzella, data la devastante entità della ferita, Lorna si trasferì in pianta stabile nel nuovo laboratorio-fortezza.
    Le cose stavano lentamente tornando a posto, ma dopo alcuni mesi cominciarono i problemi…
    Fu così che decisi di mettermi sulle tracce di Brad Barron, dopo che ebbi notizia che era sopravvissuto alla pallottola di Adrian; quando cercai di contattarlo, seppi che si trovava proprio in Texas, ad indagare su una misteriosa sfera aliena piovuta sulla contea di Southrock.
    Mi separai con difficoltà da Lorna, viste le critiche condizioni in cui versava.
    E non ero sicuro che l’avrei rivista, quando la lasciai.
    Trovare Barron non mi fu difficile, perché quella sfera aveva attirato sul posto un mucchio di militari e lui non poteva che lavorare per loro.
    Lo seguii e alla prima occasione lo intercettai: «Mi riconosci, Barron?
    Calmo… Se volevo fregarti, l’avrei già fatto…
    Posso invitarti a prendere una birra?».
    «Non rifiuto mai gli inviti fatti in maniera gentile…», mi rispose quel bastardo che aveva fregato Lorna al primo colpo.
    Feci strada fino al più vicino locale di quel postaccio che si chiamava Southrock e poi scelsi un tavolo tranquillo.
    «Forse non mi hai ancora riconosciuto, Barron, perché io non sono schedato.
    Ma penso che avrai saputo di un certo Doug Wilkinson…
    E se vuoi vengo subito al punto».
    «Sono in ogni caso d’accordo», l’assassino di Lorna non mostrava alcuna titubanza.
    «Una mia cara, carissima amica sta morendo, ed io penso che solo tu possa ancora fare qualcosa per lei…».
    «Perché pensi questo?», mi chiese Barron.
    «Perché sei un ottimo scienziato ed un grande esperto di Morb e fisiologia Morb».
    «Che cosa ha a che vedere questo con la tua amica?».
    «Lo saprai tra pochissimo, ma prima posso strapparti la promessa che non mi rifiuterai il tuo aiuto?
    So che non accetti denaro. Cos’altro potrei darti?».
    «Se potessi salvare una vita umana, non dovresti darmi altro», rispose l’eroe di piombo.
    «Qualunque vita umana?», glielo chiesi per farlo legare dalle sue stesse parole.
    «Che differenza può esserci tra una vita umana e l’altra?», quella era proprio la risposta che avevo cercato di fargli sputare.
    «Ho la tua parola, professor Barron?».
    «Hai la mia parola», perfetto… Avevo bene istigato la sua indole da salvatore della patria.
    «Grazie, Barron. Comunque andrà, non dimenticherò che sei un vero uomo.
    Ti ricordi di Lorna Baker?».
    «Lorna Baker…? La malora! Come potrei dimenticare una donna tanto bella? E… ora ricordo… Doug Wilkinson… Tu dovresti essere uno dei suoi uomini, il solo sfuggito alla morte o alla cattura».
    «E’ meglio lasciar perdere chi io sia.
    Quel che conta è che la vita di Lorna Baker è nelle tue mani, adesso».
    «Cosa…? Lorna Baker è morta, se non sbaglio… Era a terra e non dava segni di vita, l’ultima volta che la vidi… Ero stato costretto a spararle con una pistola Morb, un’arma che non lascia scampo…», si era ripreso a stento dalla sorpresa.
    «Sei un professore di biologia, non un indovino; dunque non darti pena per il tuo sbaglio».
    «Io mi sarei sbagliato…? Vuoi dire che…?».
    «Voglio dire che Lorna Baker sta morendo, è ridotta male, ha poco tempo, ma non è ancora morta; forse tutto questo ti dispiace?».
    «Affatto! Sono solo stupito. Io credevo di averla uccisa, come ti ho detto, e comunque fui obbligato a sparare e mi rammaricai del risultato; non avevo mai sparato contro una donna; se Lorna Baker è viva, spero che lo rimanga a lungo, così almeno potrà scontare la sua pena, se non decideranno per la sedia elettrica…», lo stupido idealista aveva sentenziato.
    «Posso chiederti come regolasti il selettore di potenza della tua pistola a raggi?».
    «Non ebbi il tempo di modificarlo, ed era impostato per uccidere: fu per questo che pensai che Lorna Baker fosse ormai cadavere quando la vidi a terra; ma in effetti, vista ancora la sua imperturbabile bellezza, un dubbio mi rimase dentro, e non mi dispiace oggi sapere che se la sia cavata, anzi posso ancora dire di non avere mai ucciso una donna, neppure per legittima difesa».
    «Infatti sottovalutasti la tremenda voglia di vivere di Lorna Baker: a volte fa paura perfino a me; ed è proprio questa voglia che la tiene in vita adesso, anche se è solo una questione di tempo, e alla fine anche lei dovrà crollare, ed ormai quel momento è quasi arrivato…».
    «Ma tu non ti sei ancora rassegnato…», l’aveva capito, finalmente.
    «E’ così, Brad.
    Quanto al fatto che tu non abbia mai ucciso una donna, questo è molto apprezzabile, ma Lorna sta per morire a causa della tua ferita, e quindi stiamo per tornare alla situazione di partenza; inoltre ho il dovere di aggiungere che Lorna Baker è innocente; infatti, le azioni violente del gruppo di cui faceva parte erano responsabilità di un certo Adrian, il braccio destro che le aveva preso la mano e nei riguardi del quale io la misi in guardia; Lorna Baker sta rigando dritto da quando l’hai persa di vista e ora finanzia progetti filantropici e di valido contributo alla sicurezza nazionale: tutto in regola e certificato da documenti autentici».
    «Ma Adrian è morto, almeno lui… e non può discolparsi dalle tue sommarie accuse…».
    «Ascolta Barron, se avrai il coraggio di consegnare alla polizia una donna pulita e coraggiosa come Lorna Baker, sarai libero di farlo, hai la mia parola, ma per portarla in carcere dovremo prima cercare di salvarla dal male che la sta divorando…».
    «Di che si tratta? Raccontami tutto dall’inizio…
    A me fu detto che il suo corpo non venne ritrovato, ma nessuno finora ha mai pensato che lei fosse ancora viva, alla luce del resoconto che feci…».
    «Dopo che Lorna fu colpita dal tuo raggio, arrivò all’ospedale in fin di vita ed i medici non tentarono neppure di operarla; aveva l’addome dilaniato dagli effetti dell’arma Morb; abbandonata in una saletta a consumare la sua agonia, lei cercava ancora di resistere ed io allora tentai l’ultima carta: riuscii a procurarmi, ma non chiedermi come, un presidio medico dei Morb; applicato sulla ferita di Lorna, diede inizialmente i risultati sperati: la Baker riuscì a sopravvivere e benché ancora in carrozzella, lasciò finalmente l’ospedale.
    Le cose filarono lisce per alcuni mesi.
    Poi cominciarono i problemi.
    Lorna cominciò a soffrire di disturbi intestinali, inizialmente piuttosto lievi, poi sempre più gravi.
    Naturalmente furono fatte diverse analisi e alla fine si scoprì che nei suoi intestini erano presenti, e si stavano accrescendo, degli strani funghi sconosciuti alla scienza medica terrestre.
    Furono tentate delle cure, più o meno palliative, ma non servirono a molto.
    Ed io cominciai a temere che presto quei funghi l’avrebbero invasa come un cancro, fino a diventare incurabili…
    Ed infatti le cose hanno continuato a peggiorare.
    La stanno devastando, capisci?
    Ma lei non vuole morire in questo modo, ed io ho continuato ad aiutarla per quello che ho potuto.
    Nessun medico, tra quelli consultati finora, è riuscito a trovare il bandolo della matassa, ed intanto Lorna Baker si aggrava sempre di più.
    Credo sia arrivata ai suoi ultimi giorni, Brad. La situazione può ormai precipitare da un momento all’altro.
    So quello che pensi, Barron… Che è la fine che si merita…».
    «Non lo penso affatto, invece; penso solo che sia un caso disperato.
    Perché non mi hai cercato prima?».
    «Io ci avevo pensato, ma Lorna Baker è una donna molto orgogliosa, Brad. E non voleva rimettersi nelle mani dell’uomo che l’aveva ferita a morte.
    Ma alla fine l’ho convinta».
    «Ora però potrebbe essere tardi».
    «Lo so. Ma è ancora una donna del nostro pianeta in lotta contro una malattia aliena. Vuoi lasciarla al suo destino?».
    «La malora! Non ho detto questo…
    Da un punto di vista mentale, Lorna Baker è cambiata, dopo la malattia?
    Voglio dire: questi funghi alieni si sono impossessati della sua personalità, in qualche modo?».
    «No, questo no; Lorna Baker è sempre sé stessa; la sua mente non è stata attaccata.
    Ed anche i funghi, da quanto è emerso dalle analisi ecografiche, sono cresciuti di dimensione ma non si sono estesi ad altre parti del corpo, oltre all’intestino; tuttavia sono già abbastanza grandi da ucciderla, se non verranno curati o perlomeno ridotti di dimensione.
    I funghi, infatti, le stanno provocando lesioni interne e piccole emorragie, che messe insieme fra loro, la stanno debilitando e portando lentamente alla morte. Insomma la stanno consumando, giorno dopo giorno…».
    «Eppure questa sua sofferenza la rende più umana ai miei occhi…
    Con tutta la sua perfidia, Lorna Baker è comunque una parte, forse necessaria, forse ineliminabile, forse emendabile, della nostra Terra.
    E poi sarebbe di sicuro una vera “dura” nel caso in cui i Morb dovessero tornare… Già una volta, a Chicago, è riuscita a sfuggire al loro potere, ed è tuttaltro che semplice, te lo assicuro…
    Se fosse controllabile, una come Lorna Baker la vorrei sempre dalla mia parte», finalmente il professore l’aveva capito.
    «La controllerò io, in nome tuo, Brad: puoi giurarci.
    E puoi anche star certo che prima o poi i Morb torneranno, se non sono già tornati in piccoli gruppi, come questa storia della sfera sembra dimostrare, ed allora una donna ambiziosa e geniale come Lorna Baker, con il suo nuovo, moderno laboratorio di ricerche, potrebbe esserti di grande aiuto…».
    «Purché non si schieri con i Morb…».
    «Questo non accadrebbe mai: garantisco io».
    «Comunque il motivo principale per cui verrò a visitarla è quello che tu le sei ancora leale, nonostante lei sia ormai un partito morente…
    Sei tu che la portasti in ospedale?».
    «Chi altri?
    Ti sono già debitore, Brad».
    «Ma prima dobbiamo chiudere il caso della sfera piovuta su Southrock…
    So che stai per dirmi che ogni minuto è prezioso per Lorna Baker, ma non posso mollare tutto e per giunta credo che le cose stiano maturando in fretta, perciò animo e dammi una mano».
    «Farò quello che mi dirai».
    In effetti, la misteriosa sfera non tardò a levare le tende da Southrock e quella storia si sgonfiò senza grandi colpi di scena. Tuttavia aveva dimostrato che i Morb erano ancora un pericolo latente e questo rendeva più che ragionevole la mia proposta di far fronte comune contro i nemici della Terra.
    Il nuovo incontro fra Brad Barron e Lorna Baker fu di tenore completamente opposto al precedente: in quella prima occasione, la Baker cercò di uccidere Barron; nella seconda, Barron cercò di aiutare la Baker a sopravvivere.
    Quando ormai sembrava troppo tardi per mantenere a galla Lorna, l’idea di rivolgersi a Barron si rivelò vincente: a quel demonio, infatti, saltò in mente qualcosa di tanto semplice quanto efficace, ed i primi test sulle cavie animali che avevamo in laboratorio furono molto incoraggianti.
    Dopo alcuni cicli di iniezioni sottocutanee di bicarbonato concentrato, le analisi mostravano che i funghi alieni perdevano rapidamente di vitalità e tendevano ad afflosciarsi su sé stessi e a disintegrarsi.
    Fui subito d’accordo nell’impiegare quel rimedio su Lorna. E i risultati furono confermati!
    Grazie a Barron, lei era ormai fuori pericolo.
    Alla fine fu evidente che i Morb impiegassero normalmente il bicarbonato già a partire dalla fase culminante della cura, così da bloccare o ridurre al minimo la nascita dei funghi, che rappresentava nient’altro che il rovescio della medaglia di una cura potente ed efficace nella fase iniziale, ma che andava temperata nella fase successiva.
    La mancata conoscenza di questo fondamentale aspetto della terapia stava per costare la vita a Lorna Baker, ma per buona fortuna il professor Barron aveva trovato in tempo il bandolo della matassa ed ora poteva confermare, a ragion veduta, di non aver mai ucciso una donna, nemmeno per legittima difesa.
    Da quel momento, se i Morb fossero tornati sulla Terra, avrebbero trovato sulla loro strada una strana coppia di nemici…
    Strana, come solo il destino cosmico può essere…
     
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